Villaggio Fantozzi e l’italiano mediocre. Quattro anni fa (il 3 luglio 2017, a 84 anni) ci lasciava Paolo Villaggio. Mi piace ricordarlo con una intervista che gli feci un po’ di anni fa, quindici per l’esattezza, per il quotidiano il Centro.

Villaggio Fantozzi e l'italiano mediocre
Paolo Villaggio

L’intervista è bellissima (per le sue risposte, ovviamente), per quello che l’artista dice sul rapporto tra comici e religione (cattolica e islamica), sui comici in generale, sulla tv, sul suo ricordo di Ennio Flaiano.

Fantozzi, l’italiano mediocre

Villaggio parla dei suoi personaggi e di 40 anni da comico

(il Centro, 5 dicembre 2006)

Villaggio Fantozzi e l'italiano mediocre

«Perché il titolo Serata d’addio? Ma no, ma no, è stato un errore del proto. In realtà doveva essere Serata da Dio, è stata una cialtronata degli impresari che hanno voluto trasformare lo spettacolo in una sorta di ultima recita».

Paolo Villaggio, 74 anni il prossimo 31 dicembre, non perde occasione per far ridere e gioca anche con il titolo del suo spettacolo. L’attore genovese, in viaggio verso l’Abruzzo, dove sarà impegnato da oggi a domenica (si veda scheda in alto), ha rilasciato al Centro l’intervista che segue spaziando con molta libertà dai suoi inizi con il personaggio Fantozzi a Papa Benedetto XVI, dai comici di oggi al suo esordio a Roma, nel cabaret gestito da Maurizio Costanzo, a cui era presente, in prima fila, Ennio Flaiano.

Le sue performance televisive, iniziate nel 1968 con il mago Krantz, ultimamente hanno trovato un lampo di genio, uno dei suoi numerosi, con Giovanni, il clochard della serie «Carabinieri», un clochard che però ha una fenomenale memoria per i numeri, una sorta di Rain Man italiano.

«Giovanni era un clochard che doveva giustificare la sua presenza in “Carabinieri”. In realtà è un ex professore universitario, coltissimo, che è stato fulminato durante una ricerca di funghi. Ha perso la memoria e ogni tanto ha qualche lampo di lucidità. Ma, insomma, non è che sono dei capolavori quegli sceneggiati. Si deve girare a una velocità incredibile, io andavo a soggetto, avevo giusto una traccia. Però non è che io viva di quella gloria».

Il suo Fantozzi è un mito del costume italiano. Le sue battute sono citate a memoria da ragazzi che all’epoca non erano neanche nati. A cosa pensa deve la sua fortuna il ragionier Ugo?

«Alla sua mediocrità. Sì, mediocrità, perché Fantozzi esorcizza il timore di essere malati, il timore di essere medi, normali. E’ stato una terapia d’urto per gli italiani che non pensavano di essere mediocri e allora riconoscevano nel personaggio, il vicino di casa, l’amico, il nemico, quello di centro, quello di sinistra, quello di destra. Poi si sono resi conto che in realtà erano loro Fantozzi, l’uomo mediocre. E allora si sono sentiti liberati dall’incubo di quel tipo di malattia che è la mediocrità».

Per chi voterebbe oggi Fantozzi?

«(pausa) I più anziani che temono il progresso penso per Berlusconi, per chi ha da 30 anni in poi, per la grande evoluzione, per i democratici, per i liberal, per i progressisti».

Una delle tante battute, purtroppo profetiche, era quella riferita ai miliardari che erano a sinistra del Partito comunista cinese e che chiamavano le loro barche a vela da 25 metri «Poteve opevaio». Oggi non è cambiato molto?

«Beh, un po’ sì, un po’ è cambiato. Certo, quello era un modo per prendere in giro i salotti da miliardari, non era vero che chiamavano le barche così. Era un modo per ironizzare sui salotti, in particolare quelli romani. Oggi i salotti romani sono formati da gente incazzata, frustrata, che fino a 25 anni hanno militato in Lotta continua. Certo che ritrovarsi solo oggi con la Chiesa che dice che la castità dei preti va abolita è paradossale. E poi anche questo Papa tedesco, che sembrava un nazista… Quell’altro, “santo subito”, ha tenuta ferma la Chiesa per anni. Questo qui che stava sulle palle a tutti per il suo accento, invece, si sta muovendo molto. Quelli sa, gli islamici, sono molto violenti. Il Papa tedesco, invece, ha stabilito un primo passettino del Dio che può essere uno, e poi le aperture sul preservativo e adesso quelle sulla castità, sul celibato. E’ inutile additare come mostri i preti pedofili, prima gli impongono una sofferenza indicibile come la castità…».

A proposito del Papa, cosa ne pensa della polemica sulla satira solo contro il pontefice. Perché i comici non ne fanno sugli islamici?

«Per paura. Ehi, quelli sono un po’ fanatici e i comici non vogliono correre rischi».

Oggi quale film italiano il ragionier Ugo Fantozzi definirebbe una cagata pazzesca?

«Il problema è che lui non va al cinema, proprio così, non va al cinema perché non sopporta il cinema di adesso».

Questa è una risposta un po’ diplomatica, però.

«No, Fantozzi non è in grado nemmeno di giudicare perché al cinema non ci va più. Ci vanno i Fantozzi di adesso che hanno gli orecchini e i jeans strappati e il cinema è l’unico spettacolo (visto che costa così poco rispetto agli altri) che si possono permettere. Ma i giovani Fantozzi vanno a far casino e non a guardare il film. Questi di adesso hanno problemi maggiori. Fantozzi accettava la sua vita grigia, i suoi week end spaventevoli. Quelli di adesso vogliono essere protagonisti, vogliono le veline, hanno paura di essere invisibili. Pensi ai writers, quelli che imbrattano i muri, lo fanno per essere individuati, oppure quei matti che pur di comparire magari filmano un gruppo che picchia un handicappato. Oppure quei poveracci della curva, che vanno allo stadio solo per far casino. Non sono pochi isolati teppisti, sono dei disperati che avrebbero bisogno di tanto aiuto. Oggi, invece, ci si occupa solo di Berlusconi, dei culi delle veline, dei politici, sempre gli stessi».

Fantozzi, ma anche Fracchia, erano impiegati a tempo indeterminato. Oggi questa figura è quasi scomparsa. Con il lavoro precario sempre più diffuso, potrebbe esistere Fantozzi?

«Direi che c’è ancora più Fantozzi nella società italiana. Quello di prima aveva almeno la sicurezza del posto, quello di oggi è disperato, sempre con l’angoscia di perdere il lavoro».

Lei vede i comici di oggi? La fanno ridere? Ce n’è qualcuno bravo?

«Perché lo dice in tono limitativo? Quasi tutti fanno un po’ ridere, solo che hanno vita corta perché la tv gli conferisce una visibilità immediata. Un tempo ci volevano 30 anni di avanspettacolo prima di arrivare al successo. Erano i Sordi, i Totò, e avevano un mestiere sconfinato. Oggi questi esplodono per una imitazione, per un personaggio. La velocità del successo è enorme ma poi si consumano altrettano rapidamente».

I comici oggi parlano spesso di regime, secondo lei esiste un potere che vuole bloccare la satira? E ai tempi di Fantozzi o Fracchia in tv cosa accadeva?

«All’inizio della mia attività c’era una censura di tipo sovietico, tutta democristiana, ovviamente, ma ferrea. Adesso loro si muovono tra le maglie di una autocensura, perché in realtà sono i funzionari della tv che hanno paura di perdere il proprio posto, ma non è che il potere ti vieta qualcosa. Anzi, sa che succede? Che quelli che vengono sbeffeggiati in tv, i politici, se scompaiono per qualche settimana poi magari chiamano l’attore perché vogliono essere di nuovo presi in giro».

Quale deve essere il ruolo del comico, secondo lei?

«Fondamentalmente quello terapeutico di far ridere. Le nevrosi, oggi, sono molte, non parlo di un popolo di malati di mente, ma insomma… E quindi il comico ha un ruolo terapeutico. Poi, oltre alla risata, che studi scientifici hanno dimostrato che fa bene anche nelle cure mediche, c’è la necessità di liberare la paura dell’isolamento».

Ha avuto modo di conoscere l’opera del pescarese Ennio Flaiano?

«Scherza? Flaiano è un mito. E poi ho un ricordo personale meraviglioso. Flaiano è venuto al mio primo spettacolo a Roma, nel 1966. Maurizio Costanzo mi ha portato da Genova a Roma e mi ha fatto esordire nel suo cabaret, un locale fetido che si chiamava “Sette per otto”. In prima fila, c’era Ennio Flaiano, me lo ricorderò sempre, e siccome c’erano delle panchette piccole, lui a un certo punto cadde e diede una tremenda culata per terra».

Leggi qui il mio articolo sul libro di Aldo Dalla Vecchia dedicato a Franca Valeri

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