Dice che era un bell’uomo… Il genio di Dalla e Pallottino è il titolo dell’originale volume firmato dal giornalista professionista Massimo Iondini e pubblicato da Minerva edizioni (QUI il link per l’acquisto).
Originale perché, intanto, e finalmente, mette in risalto il ruolo dell’autrice del testo, Paola Pallottino, geniale figura di disegnatrice e poetessa, incoraggiata (a soli 16 anni) da un gigante come Aldo Palazzeschi.
Dice che era un bell’uomo
Iondini, redattore da un trentennio del quotidiano l’Avvenire per le pagine di Cultura e spettacoli, costruisce un album ideale mettendo insieme tutti i brani con i testi della Pallottino e le musiche di Lucio Dalla.
Oltre a “4 marzo 1943”, infatti, ci sono “Il gigante e la bambina”, “Un uomo come me” e “Anna Bellanna” Ma anche altri brani, in tutto sono otto, l’equivalente di un ideale long playing. E c’è una nona canzone, rimasta nel cassetto, tuttora inedita. Si intitola “La ragazza e l’eremita” che viene svelata per la prima volta in questo libro.
Prefazione di Pupi Avati
Iondini fa parlare una serie di personaggi che sorprendono il lettore per la profondità delle riflessioni sull’uomo, sul musicista, sul genio Lucio Dalla.
Spiazzante la prefazione di Pupi Avati (amico e collega di clarinetto), che smette di suonare resosi conto della eccezionale bravura del più giovane amico e poi, invidioso per sua ammissione, litiga con il musicista, salvo poi riappacificarsi dopo anni.
Commovente l’introduzione di Gianni Morandi, amico di una vita.
Testimonianze di Paoli, Arbore, Ron
Iondini ha poi dato la parola a personaggi come Gino Paoli, Renzo Arbore, Ron, Maurizio Vandelli, Maurizio De Angelis, Vince Tempera, Angelo Branduardi, Armando Franceschini e padre Bernardo Boschi.
Infine, ma non certo per ultimo, il volume propone l’intervista esclusiva a Umberto “Tobia” Righi, che per quasi mezzo secolo è stato manager, factotum e una sorta di padre putativo di Dalla.
Massimo Iondini mi ha rilasciato la seguente intervista
Partiamo dal titolo “Dice che era un bell’uomo…”, un modo per celebrare uno dei brani più amati di Lucio Dalla ma che rende giustizia anche all’autrice del testo, Paola Pallottino, straordinario personaggio, giovane poetessa incoraggiata da Aldo Palazzeschi (a 16 anni!) e illustratrice di vaglia
Lei è stata molto orgogliosa di questa sorta di “iniziazione”. Palazzeschi abitava nello stesso stabile dei Pallottino, un palazzo nobiliare, signorile, e Paola dette al grande letterato queste sue poesiuole giovanili e lui la elogiò molto. Io riporto nel libro la lettera che Palazzeschi le scrisse sottolineando la forza lirica, la sensibilità e la visionarietà della giovanissima autrice.
Lei, poi, ha trasposto questa sua capacità di interpretare i lati oscuri dei caratteri umani nelle illustrazioni delle fiabe. Questa sua palestra artistica parallela le ha dato quel carattere così tipico dei suoi testi che, pur se fiabeschi, son cruenti. Ce ne sono tre di questo tipo scritti per Dalla e sono “Il gigante e la bambina”, “Anna bellanna”, dove c’è un omicidio, e poi quello che nessuno conosce e che io ho inserito nel mio volume, “La ragazza e l’eremita” ed è forse il più violento di tutti.
Sono storie, tra l’altro, ispirate dalla cronaca.
Sì, infatti quando hanno deciso, subito dopo “4/3/1943”, di iniziare a parlare anche alla stampa di questa canzone (Il gigante e la bambina) che sarebbe uscita di lì a poco, nel giugno 1971 nell’album Storie di casa mia, Lucio si premurava di dire che era una storia violenta ma che era da intendere in senso metaforico, non voleva essere cruenta e brutale. Lui, per primo, sembrava un po’ spiazzato da questo testo. E forse ha voluto, con la musica che ha scritto un po’ bucolica, stemperare la insita drammaticità della storia. E, ancora, per sottolineare ulteriormente questo carattere fiabesco, ha voluto farla eseguire da Rosalino (Cellamare, oggi noto come Ron, nda) che, all’epoca, aveva 17 anni.
4/3/1943 è la data di nascita di Lucio Dalla, ci sono tanti riferimenti autobiografici ma NON è la storia dell’artista, pure se anche lui praticamente non conobbe il padre…
Certo, lo è sotto certi profili. Magari sotto quello puramente emotivo ed esistenziale. Tanto è vero che Lucio ha affermato più volte che si è immediatamente innamorato di questa storia, l’ha fatta sua, e per un bel po’ di tempo ogni volta che la cantava si commuoveva. Queste sono parole sue, però certamente il testo lo colpiva profondamente, Anche per questo possiamo pensare che quando si trattava di dover cambiare il titolo (originariamente Gesubambino, nda) volle mettere la sua data di nascita. Tale era l’identificazione con quella storia, e poi Dalla era molto religioso. Aveva una fede bambina.
Lei ha intervistato tanti colleghi (Gino Paoli, Ron, Maurizio Vandelli, Maurizio De Angelis, Vince Tempera, Angelo Branduardi) ma uno degli episodi più toccanti è quello che le ha raccontato Renzo Arbore.
Arbore stravedeva per Dalla e ricorda che quando conduceva Bandiera gialla con Boncompagni quest’ultimo quasi non voleva trasmettere i brani di Lucio perché era scettico, non credeva in lui, anche se poi, con molta onestà, ammetterà di essersi sbagliato. Arbore, invece, è sempre stato convinto del suo talento. Perché? Perché anche Renzo viene dal jazz e capiva profondamente la comune matrice e il valore aggiunto che aveva come musicista rispetto agli altri.
E poi questo aneddoto meraviglioso di due bambini…
Sì, quando la mamma di Lucio – che faceva la modista, la signora Iolanda – andava tutte le estati in Puglia, ed era di stanza a Manfredonia con i suoi capi di abbigliamento. Uno degli appuntamenti fissi era a casa Arbore, a Foggia, con grande dispiacere del papà di Renzo, a cui toccava tirar fuori un po’ di soldini.
Arbore mi ha raccontato quanto gli piaceva questa scena della signora Dalla che squadernava i suoi capi d’abbigliamento sul tavolo della sala e lui aveva il compito di intrattenere, facendolo giocare, il piccolo Lucio. Un particolare che non ho potuto mettere nel libro è che quando Arbore fece il programma per celebrare Roberto Murolo invitò Dalla perché lui aveva anche una forte matrice legata alla canzone napoletana. Non a caso, poi, ha sfornato un capolavoro come “Caruso”, che non è nato dal nulla, solo perché quella sera era nella stanza d’albergo del grande tenore.
E poi Gino Paoli che dice “ci vollero parecchi anni prima che Lucio cominciasse a vendere qualche disco. All’inizio ci rimettemmo un pacco di soldi”, un atteggiamento che i discografici non hanno più, ormai, da decenni. E, mi permetto, se ne vedono tutti i risultati (basti pensare al Sanremo di questi giorni).
Questo è un problema socio-culturale, anche, non solo artistico e discografico. I talenti, quando venivano compresi, adocchiati, venivano aspettati, si aspettava la loro maturazione. Anche grazie a questa pazienza e a questo amore per l’arte è nata la scuola cantautorale. E poi, i discografici erano musicisti, magari mancati, che avevano preso un’altra strada. Adesso ci sono i manager e questo la dice lunga. Per cui c’era un surplus di passione, di partecipazione alla missione artistica che adesso, in un’epoca di freddezza e di obbligo di far tornare subito i conti, si perde per strada tutta la parte artistica che è quella che attiene all’anima.
Un’ultima domanda sulla dimensione religiosa di Dalla: mi ha sorpreso molto apprendere che spesso andava in convento, dal suo amico fra Bernardo Boschi, e ci rimaneva anche due-tre giorni.
E quando gli capitava di andare in concerto nella zona umbro-marchigiana, coglieva sempre l’opportunità di ritirarsi spiritualmente, anche solo per poche ore, con i francescani di Assisi. Lo racconta, nel libro, Tobia, suo storico amico, una sorta di padre putativo, che mi ha concesso una intervista esclusiva, perché lui non ha mai voluto parlare di Dalla, per non essere strumentalizzato. Non a caso a dare le notizia della morte di Lucio è stato l’ufficio stampa del Sacro convento di Assisi, scrivendo: “è morto il cantautore di Dio”.
Poi, lui incarnava l’uomo, il diavolo e l’acqua santa. Mi piace molto ricordare che nell’album “Canzoni”, dopo il remake di “Disperato erotico stomp”, ha voluto mettere “Vieni spirito di Cristo” registrata a San Domenico da un frate che la cantava, Alessandro Fanti. Quindi ha chiuso il disco con una verticalità, con un’implorazione dopo un brano che racconta la caduta, l’uomo che si abbandona anche alla disperazione.
Leggi QUI la mia recensione al libro di Ezio Guaitamacchi Amore morte e rock’n’roll