Auriti pianoman da Orsogna a New York. C’è un filo indissolubile tra la piccola Orsogna (oggi 4mila abitanti) e la immensa City (dove vivono, però, 5mila orsognesi).
È un filo di tessuto che parte dalla cittadina in provincia di Chieti, arriva in Germania e scavalca l’Atlantico.
Un filo, sì, perché Sante Auriti prima ha lavorato per cinque anni in Germania, in una fabbrica tessile, e poi, a 28 anni, nel 1979, si decide a raggiungere la fidanzata che già lavorava a New York.
Nella Grande mela trova un compaesano che fa il caposquadra nella Steinway and sons, la più conosciuta e apprezzata fabbrica di pianoforti al mondo.
I fili della vita si intrecciano: la ditta venne fondata nel 1853 da un tedesco (che cambiò il suo cognome Steinweg in Steinway, più semplice da pronunciare per gli americani).
Auriti pianoman da Orsogna a New York
Inizia la sua avventura nella doppia S dei pianoforti scopando per terra i trucioli di legno.
Pulendo i pavimenti dopo il sapiente lavoro, manuale, di grandi artigiani che intagliano i pezzi pregiati.
Ma quell’umile inizio è la chiave del successo.
Perché Sante, da abruzzese serio, laborioso
rigoroso nel rispetto del lavoro, impara, guarda, osserva, riporta a casa quei trucioli e impara a distinguere i legni, a sentirne e riconoscerne il profumo.
E, in un Paese dove l’etica del lavoro è religione, viene apprezzato.
Qualsiasi compito gli viene affidato, Sante lo svolge alla perfezione, al meglio, senza rivali.
Così poi pian piano, giorno dopo giorno, mese e anno, raggiunge il top.
La responsabilità della realizzazione della cassa del pianoforte e del suo “vestito”, l’impiallacciatura (veneer), cioè la parte che si vede.
Gli vengono, infine, affidati i modelli
più ambiti e costosi: i Luigi XV e i Chippendales (con prezzi che arrivano anche a 250-300 mila dollari).
Nelle mani di Auriti i pianoforti Steinway, già meravigliosi per suono, meccanica e pregio dei legni usati, diventano opere d’arte, dipinti che suonano, con colori a volte semplicemente disegnati dalla natura, a volte con tonalità scelte magari dal committente.
Ecco come Auriti racconta, per la Steinway, il suo lavoro in questo video reperibile su YouTube:
Ma il filo con l’Italia, con l’Abruzzo e, soprattutto, con la sua Orsogna, Auriti non l’ha mai tagliato. Anzi. Ogni anno torna per stare un mese e per mantenere forte il legame con i parenti, con gli amici, e con la terra.
Anche quest’anno è tornato e, grazie al comune amico Germano D’Aurelio (per tutti ‘Nduccio), ho avuto l’occasione di incontrarlo.
«Ogni pianoforte è composto da dodicimila
pezzi e per costruirlo ci vogliono nove mesi. Magari anche qualche settimana in più. Sì, come un parto.
Ma non c’è mai un piano che nasce prematuro», ride, mescolando l’italiano al dialetto orsognese all’inflessione americana, ormai ineliminabile dopo 42 anni vissuti negli Stati Uniti.
«Ogni settimana venivano clienti a fare il giro dell’azienda. E a me la Steinway chiedeva di spiegare tutto il ciclo della lavorazione».
Auriti in vetrina blocca il traffico a NY
Nel 2009, trent’anni dopo aver iniziato, la compagnia lo mise in vetrina, nella centralissima 57a strada. Fu un successo strepitoso, con i newyorkesi di solito frettolosi di andare da un punto all’altro di Manhattan che si fermavano a decine, centinaia, per vedere quell’artigiano che costruiva pianoforti tra le macchine.
«L’economia andava male, malissimo»
spiega Sante. Era appena arrivata l’ennesima crisi, quella del 2008, con le aziende finanziarie che licenziavano i dipendenti a migliaia alla volta.
«La compagnia», prosegue Auriti, «per attrarre pubblico pensò a una trovata pubblicitaria.
Avevano un grattacielo nella 57a strada, tra la quinta e la sesta avenue, e, al piano terra c’erano dei locali con una finestra ovale che permetteva di vedere cosa accadeva dentro.
Mi hanno fatto costruire tre pianoforti là dentro».
Diventò rapidamente un caso. L’artigiano di Orsogna venne intervistato da tutte le tv di New York, dai giornali, e poi dalle emittenti italiane (Rai e Mediaset innanzitutto).
Un canale americano annunciò: «C’è Piano man a New York, ma non è Billy Joel (che per gli americani ha questo soprannome) è Sante Auriti».
Si illumina, Auriti, quando gli si chiedono
approfondimenti sul suo lavoro, sulla sua vita per 40 anni: «L’impiallacciatura non influisce minimamente sul suono, perché all’interno tutti i piano sono fatti di legno di acero, per la cassa, la tavola del suono è fatta di abete e poi sotto all’abete le traverse sono fatte di pino.
Poi c’è la quercia che viene usata dove si mettono le gambe, perché è il pezzo più duro.
A me il lavoro ha dato tanta soddisfazione, a me m’ha piaciut».
Auriti pianoman da Orsogna a New York
Racconta che, spesso, arrivavano delegazioni di università del Paese, o di grandi enti di beneficenza che sostengono le scuole, che acquistavano strumenti per 25-30 milioni di dollari alla volta.
«Un anno c’è stata una convention di tutti i docenti di musica d’America, a New York, all’hotel Hilton. La compagnia ha mandato me per fare, in due giorni, l’intaglio di un pianoforte. La sera non dovevano nemmeno pulire per terra perché tutti i trucioli venivano raccolti, come souvenir».
Strana avventura la vita: all’inizio i trucioli li raccoglieva lui, per imparare, oggi forse qualche artista avrà ancora a casa i trucioli che raccolse all’hotel Hilton dove un artigiano di un paesino lontano li aveva scartati per intagliare uno strumento da collezione.