Cimorosi racconta la sua NYC. È possibile sorprendere con le immagini della città più fotografata? Sì, se riesce a trovare un punto di vista particolare, curioso, fuori dall’ordinario. È quello che è riuscito a fare Marco Cimorosi. con gli scatti raccolti nel suo primo libro dal titolo “Fotografare New York City”.

Il volume di 192 pagine e 174 foto con i contributi di Saro Di BartoloLuca Maggitti e Paolo Di Vincenzo, propone, come recita il sottotitolo, Aritmiche visioni metropolitane, con lo sguardo di uno street photographer.

Cimorosi racconta la sua NYC. La copertina del libro

«Per descrivere New York si è detto tanto tra realtà e fantasia», spiega l’autore, «La città restituisce sempre e comunque quel senso di aritmia che, per chi ama la fotografia, è uno degli ingredienti principali per la propria creatività».

Fotografo professionista, Cimorosi (Roseto degli Abruzzi, 1960) ha collaborato con la rivista Digital Camera e ha tenuto mostre in tutta Italia. Da dieci anni, insieme al fondatore del network www.domiad.it, Domenico Addotta, organizza nella sua città “United Colors of Photography”, appuntamento di richiamo a livello nazionale.

Cimorosi racconta la sua NYC
Marco Cimorosi

Cimorosi racconta la sua NYC

Il volume può essere acquistato a Roseto degli Abruzzi, nella libreria La cura (via Latini 24-26) – dove è allestita una mostra con alcune delle foto contenute nel libro – nella libreria Mondadori (via Nazionale 212) o, a richiesta, nelle principali librerie abruzzesi.

Inoltre, è possibile ordinarlo online sul sito www.marcocimorosi.it

Di seguito l’intervista all’autore.

Conosco New York molto bene, mia madre nacque sulla Quinta Strada (così lei chiamava 5th Avenue) e sino alla teenage (all’adolescenza) sono cresciuto Upstate New York (la parte settentrionale dello Stato). Ho dunque perfetta coscienza del peso di ciò che dico, quando affermo che molte delle foto realizzate da Marco Cimorosi nella città delle contraddizioni avrei voluto averle fatte io! Cimorosi non è soltanto un valente artista, nel senso più vasto e complessivo, riferito quindi ai diversi generi fotografici in cui primeggia, ma è pure un sensibile e talentoso poeta della street photography. Sono le parole di un maestro come Saro Di Bartolo, mi pare una laurea con lode sul campo. Come commenta queste parole?

Molto più che una laurea! Saro è un grande fotografo e le sue parole mi gratificano enormemente, specialmente sapendo che lui non è un adulatore e se c’è qualcosa che non va, te la dice subito. Ci accomuna il fatto che entrambi avremmo voluto fare le foto dell’altro. Quando poi gioco in casa sua (New York) e mi sento dire che il mio modo di fare Street Photography gli piace, beh allora mi sollevo da terra almeno quattro metri.

Il suo libro, Fotografare New York City, raccoglie alcune foto straordinarie, prese nel corso dei suoi frequenti viaggi nella Grande mela. Come le è venuto in mente di misurarsi con un soggetto così famoso, amato, infinitamente conosciuto come le strade, i palazzi, le ambientazioni della città che non dorme mai?

Quando uno dice Street Photography non può che associarla a New York. L’apertura mentale, la libertà di espressione e le mille opportunità di fare fotografie in strada, lì non hanno eguali. Le inibizioni e la paura di urtare la sensibilità di qualcuno, seppur non ci sia nessuna intenzione di farlo, scompaiono completamente. Si entra subito in sintonia con la mentalità americana. Basta lasciarsi alle spalle tutti i preconcetti che questo modo di fotografare potrebbe suscitare. Come spiego nel libro, è sufficiente restare nei limiti della decenza e del buon senso e tutto assume un significato diverso.

Cimorosi racconta la sua NYC

Cimorosi racconta la sua NYC. Una delle foto del libro

Luca Maggitti, nel suo intervento scrive: Marco Cimorosi parla poco, non urla mai e sorride spesso. Soprattutto, osserva. Il suo sorriso è figlio dell’essere un uomo che vive di fronte al mare, pronto all’accoglienza e al rispetto, poco incline al giudizio e per nulla al pregiudizio. Il mare che da sempre ne colma lo sguardo gli ha pure dato la voglia di solcarlo e viaggiare, alla scoperta di città e persone. Quanto si ritrova nel suo ritratto?

Sfido chiunque a reggere il confronto verbale con l’amico Luca. Quando ho letto il suo intervento, essendo io l’autore del libro, avrei potuto limare la sua asserzione, ma non l’ho fatto perché c’è una sottile verità. Sì, è vero: parlo poco, ma mi piacerebbe migliorare… parlare ancora meno. Sono sacrosanti i termini che ha usato: “poco incline al giudizio e per nulla al pregiudizio”, questo l’ho imparato dai miei genitori, dalla mia fede in Dio e dall’esperienza personale. Infine, la voglia di viaggiare è limitata solo dalle vicissitudini della vita quotidiana e a un briciolo di sanità di mente, altrimenti sarei sempre in giro.

Il libro è eccellente, lo affermano i migliori fotografi italiani, ma il lettore vede il risultato finale. Cosa c’è dall’altra parte dell’obiettivo? Prove, errori, difficoltà, problemi nelle strade, a volte turbolente, della megalopoli americana? Può raccontare qualche aneddoto?

Prima di tutto “eccellente” è forse un aggettivo un tantino esagerato. Sì, comunque le immagini pubblicate sono il frutto di tante prove, di una marea di errori e di un’immensa autocritica. La ricerca dell’espressione personale meno stereotipata possibile mi porta a essere molto severo con me stesso ma anche ragionevolmente soddisfatto. Insomma, reputo che nel libro ci siano scatti mediocri (almeno dal mio punto di vista) ma anche alcuni a cui tengo particolarmente.

Di aneddoti ce ne sarebbero molti. Voglio raccontare quello relativo all’immagine che ho intitolato “Dignità e solitudine”. Io e la mia famiglia eravamo in giro nel quartiere di Soho. Era notte e le vetrine dei locali erano illuminate. A un certo punto i miei mi perdono di vista e tornano indietro. Io, invece, ero fermo, immobile davanti alla vetrina di un ristorante con in mano la fotocamera. La foto l’avevo già scattata, ma la scena mi aveva talmente colpito che sono restato lì a guardare e meditare mentre gli altri proseguivano. La composta dignità di un’anziana signora seduta da sola nel locale vuoto con la sua bevanda fra le mani e con lo sguardo perso verso l’infinito. Nella mia immaginazione la vedevo da ragazza, seduta allo stesso tavolo insieme agli amici, a ridere e scherzare. Ora quegli amici non ci sono più, ma lei non può fare a meno di tornare nel suo locale preferito e immergersi nei ricordi. Pura fantasia, forse, ma è proprio questa che dovrebbe animare uno street photographer.

Lei si occupa di fotografia da tempo. Ma solo oggi si è deciso a mettere su carta una piccola parte dei suoi lavori. Come mai? E, soprattutto, sta già pensando ad altre pubblicazioni?

La colpa o il merito la riguardano da vicino perché solo dopo “adeguata” insistenza da parte di due bravissimi giornalisti e scrittori quali lei, Paolo, e l’amico Luca Maggitti, ho rimosso le mie riluttanze e ho cominciato timidamente a mettere giù qualche pagina. Ci ho preso gusto e ho continuato. Altre pubblicazioni? Valutiamo come va questa e poi si vedrà.

Ogni anno organizza una manifestazione seguitissima, nella sua Roseto degli Abruzzi, dal titolo significativo: United color of photography. Ne vuole parlare?

Nasce da un’idea congiunta con il fondatore di Domiad Photo Network, Domenico Addotta. Un giorno lo chiamai e gli dissi: Perché non proviamo a rendere reale questa grande realtà virtuale? Non ci conoscevamo di persona, come del resto con tutti gli altri iscritti al network, ma dopo aver esposto le mie credenziali, Domenico ebbe fiducia e partimmo per questa avventura. United colors of Photograpy vuole unire sotto un’unica passione, i baldanzosi – e a volte campanilisti – detentori di vari brand fotografici che tendenzialmente si snobbano a vicenda. La passione fotografica, la quantità, la varietà e soprattutto la qualità degli eventi durante la manifestazione ha abbattuto queste barriere. Il 2020 doveva essere l’anno X, cioè la decima edizione. Ci ha fermato un essere infido quanto invisibile chiamato Covid-19, ma ci rifaremo alla grande, appena possibile.

Il suo libro dà anche una serie di consigli tecnici a chi voglia cimentarsi con la fotografia di strada. Ma, oggi che tutti si sentono Helmut Newton solo perché possono fare scatti con il proprio cellulare, che consigli darebbe a chi volesse diventare fotografo?

Il fatto che molti credano di essere bravi fotografi, in fondo è un bene perché anche questo fa crescere l’arte fotografica. Dal credere all’esserlo c’è una differenza enorme, ma basta un briciolo di umiltà per aprire la propria mente e cercare quello che dovrebbero fare tutti, me compreso: migliorare tecnica e creatività. La tecnologia ha fatto passi da gigante. Ho amici che con il telefonino realizzano scatti stratosferici, ma altre persone, con costosissime fotocamere reflex, non sanno cosa fare. La street photography, poi, oltre a capacità tecniche e creative richiede anche di saper gestire il fattore psicologico, in quanto spesso si punta la fotocamera verso sconosciuti la cui reazione è altrettanto misteriosa.

Infine, quale soggetto, che finora non è riuscito a inquadrare con il suo obiettivo, sogna di poter riprendere prima o poi?

Se ne avessi uno che sognassi di riprendere prima o poi, sarebbe la fine della mia curiosità. Non avendone, invece, se ne presentano ogni giorno tanti, così che la passione e la creatività non si affievoliscono mai. Peccato solo di non avere sempre la fotocamera in mano.

Leggi QUI il comunicato sul libro

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