La preghiera laica di Massimo Cotto con Rock is the answer (edito da Marsilio). E’ questo il titolo del nuovo libro del giornalista che racconta il mondo del rock attraverso le parole di oltre 150 artisti raccolte nel corso degli anni durante interviste ed incontri.

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La preghiera laica di Massimo Cotto
Un momento della mia intervista a Massimo Cotto

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Qui, invece, lo sbobinato per chi avesse tempo e voglia di leggerla:

La preghiera laica di Massimo Cotto

La preghiera laica di Massimo Cotto

Il suo libro lo definisco un po’ una preghiera laica del rocker, perché lei in ogni giorno mette una riflessione.

Una bellissima definizione che ti ruberò, ovviamente facendola mia. Scherzo.

Sì, è stata concepita un po’ come fosse un breviario perché la musica ci salva la vita, o comunque a migliorarcela, a guarire i piccoli guai sono in realtà le parole degli artisti, delle persone che incontri.

Allora ho selezionato centocinquanta rockstar,

ho riascoltato le loro parole, in alcuni casi è stato un lavoro anche un po’ malinconico perché si tratta, in alcuni casi, di artisti che non ci sono più come David Bowie, Joe Cocker, Leonard Cohen non ci sono più, e poi ho selezionato le risposte e le ho organizzate, giorno dopo giorno e ognuno può decidere di leggerle come vuole.

C’è qualche incontro che ama particolarmente ricordare?

Tra le tante sicuramente quella di Tom Waits quando gli ho chiesto di parlarmi dei dischi che più lo avevano influenzato. E lui mi rispose una antologia di Marcel Marceau, che è un mimo.

Sono due facciate che durano 20 minuti, 19 di silenzio e uno di applausi. D’altronde Marceau era un mimo e non poteva essere altrimenti.

Era una provocazione, la sua, ma, al di là,

del divertissement lui mi spiegò: La bellezza va cercata dove pensi non ci sia. E credo che sia vero. Dovremmo abituarci a cercare la felicità in quegli anfratti più duri, in quei luoghi in cui nessuno pensa si possa nascondere.

La preghiera laica di Massimo Cotto

Nel suo libro, ogni riflessione è affiancata da un brano. Mi ha colpito molto la frase tratta da Bird on the wire (1969) di Leonard Cohen

Like a bird on the wire
Like a drunk in a midnight choir
I have tried in my way to be free
Come un uccello sul filo
Come un ubriaco in un coro di mezzanotte
Ho cercato il mio modo per essere libero

E’ un po’ anche il suo senso di cercare, ascoltare, proporre, studiare musica?

Sì e no, Cohen rappresenta meravigliosamente quell’animo fragile, vulnerabile, che ognuno ha.

Lui voleva rappresentare la difficoltà di trovare un equilibrio, quindi la voglia di essere liberi ma con dei momenti difficili.

Credo di essere da un lato esattamente così, anche fuor di metafora, sono goffo, a volte inciampo. Molto più facile nella vita professionale e sentimentale dove c’è una stabilità bella.

Quello che volevo intendere io è la difficoltà dell’ordinario, del quotidiano.

Noi siamo sottoposti a botte continue da parte della vita, a volte riusciamo ad ammortizzarle e ad assorbirle perché siamo degli ottimi incassatori, altre volte riceviamo degli uppercut all’improvviso.

Bisogna sempre continuare a rialzarci. Il rock ci insegna questo. Tutte le volte che cadi subito dopo devi rialzarti.

Tutti gli artisti che si raccontano hanno ammesso le loro difficoltà: Elton John, Eric Clapton e Joe Cocker mi hanno raccontato la loro odissea nella droga e nell’alcol.

Elton John mi ha detto che nei momenti di grande

difficoltà quando pensava di non farcela a disintossicarsi dalla droga andava a prendere un disco di Peter Gabriel e Kate Bush, Don’t give up (non mollare, non arrenderti), piangeva tutte le lacrime possibile e poi trovava la forza per andare avanti.

Penso che l’arte abbia questo meraviglioso dono di arrivare con velocità a farti capire che ce la puoi fare.

La preghiera laica di Massimo Cotto

La preghiera laica di Massimo Cotto
Massimo Cotto autore del libro Rock is the answer (Marsilio)

Il suo incontro con Madonna.

Mi raccontò di quando era piccola e con la famiglia si spostavano e si fermavano a comprare dei dolci lungo la strada. E mentre il fratello e la sorella li mangiavano rapidamente, lei aspettava almeno un paio d’ore. E si godeva l’invidia da parte dei fratelli.

Tra l’altro io ho conosciuto la sorella, Melanie Ciccone,

che era la responsabile della Warner a New York ed è grazie a lei che ho incontrato un sacco di artisti importanti. Anche in questo caso da piccoli episodi si possono capire tante cose.

Lei prima ha accennato a un fatto che fa parte della storia del rock: cioè la commistione, la vicinanza, l’intreccio continuo tra rock e dipendenze. Secondo lei questo legame è strettamente necessario?

Beh, c’è stato un periodo, negli anni Sessanta e Settanta, in cui i musicisti pensavano che le droghe erano il metodo più veloce e rapido per arrivare oltre le porte della percezione. E poi c’erano droghe diverse.

L’LSD aveva degli effetti negativi, ma l’eroina li aveva centuplicati.

C’è stata la glorificazione della droga.Questa visione sbagliata ha fatto di loro dei cattivi profeti, dei cattivi esempi.

Se pensiamo solo alle tre J (Jimi Hendrix, Janis Joplin, Jim Morrison) e se loro non fossero andati oltre avremmo avuto ancora anni e anni di ottima musica.

Una volta ne ho parlato con Vasco che mi ha detto:

Effettivamente le prime due o tre volte si ha come la sensazione che la mente si sia allargata e possa scrivere in una altro modo ma poi paghi tutto e con gli interessi.

Penso alla parabola di artisti come Brian Jones, Sid Barret dei Pink Floyd che si sono rovinati in pochissimo tempo.

LEGGI QUI IL MIO ARTICOLO SUL LIBRO DI LIGABUE SCRITTO CON MASSIMO COTTO

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