Domenico Addotta fotografo dell’invisibile. Il professionista dell’obiettivo dirige una portaerei della comunicazione: novecentomila iscritti all’Associazione nazionale Domiad, 500 mila pagine viste al giorno, oltre 2 milioni di foto postate, circa cinquemila messaggi ogni 24 ore.

Addotta, lei in pochi anni ha costruito una super potenza per i professionisti dell’immagine. Come ha fatto?

Tutto è nato per gioco nel 2004. Sono sempre stato un grande appassionato di fotografia, e avendo tre diplomi in informatica, quando Internet stava iniziando a entrare nelle case delle persone ho fondato il sito Domiad.it. un piccolo forum.

Domenico Addotta fotografo dell'invisibile
Domenico Addotta

All’epoca si viaggiava con i modem analogici, quelli che fischiavano quando si connettevano…

Sì, preistoria, praticamente. Nel 2004 molti dei nostri iscritti avevano macchine diverse, chi una Canon, chi una Nikon, e vedevo che tra loro c’era una certa rivalità. Proprio in quel periodo, inoltre, si passava dalla tecnologia analogica a quella digitale anche nella fotografia. C’erano critiche reciproche. Quelli che parteggiavano per l’analogico sostenevano che le digitali facessero tutto da sole. Invece, l’unica cosa che cambia è il piano in cui viene impressa l’immagine: al posto della pellicola c’è un sensore. Le impostazioni sono le stesse.

E la community come è andata avanti?

La prima reflex digitale che comprai era una Nikon, quindi il primo forum il Nikon club Italia, sempre nel 2004. L’anno dopo, parlando con altri colleghi, mi sono convinto ad aprire una community anche per i “canonisti”.

Domenico Addotta fotografo dell'invisibile

E quest’ultimo è diventato il gruppo più popolato.

Sì, su 900 mila iscritti ben 400 mila sono Canon, il gruppo Nikon conta circa 200 mila persone. Seguono gli altri. Ovviamente grazie a questi club, con il tempo, sono nate tante iniziative, numerose collaborazioni con le aziende produttrici e, tra le altre, anche la manifestazione di Roseto degli Abruzzi, avviata grazie a Marco Cimorosi.

La United colors of photography ha, ormai, una dimensione nazionale con la partecipazioni di migliaia di appassionati. Come tutti, purtroppo, negli ultimi 14 mesi abbiamo dovuto bloccare ogni incontro. Speriamo di poter ripartire entro la fine dell’anno.

Il socio tipo chi è?

Chiunque, si va dal professionista al ragazzino che sta iniziando, all’appassionato che fotografa per hobby. L’unico, grande e fortissimo punto comune è la passione per la fotografia. Le donne sono in minoranza ma comunque rappresentano il 35-40 per cento, comunque tantissime. L’età oscilla dai 16 agli oltre ottanta anni. La gran massa, però, oscilla tra i 25 e i 55 anni.

Qualcuno potrebbe dirle: “Perché dovrei spendere centinaia, se non migliaia, di euro per una macchinetta, studiare manuali, quando con il mio smartphone potrei ottenere immagini che nulla hanno da invidiare a quelle dei professionisti”?

Perché non è assolutamente così. Intanto, gli smartphone di oggi, ormai, costano quanto se non molto di più, di una ottima macchina fotografica. In ogni caso, non è assolutamente possibile paragonare le foto dell’uno con quelle dell’altra. I produttori lanciano sul mercato telefonini con tre-quattro lenti, con obiettivo macro, tele, sfocato… Ma il gap non sarà mai colmabile.

Perché? Da cosa dipende?

Da motivi tecnici ma comprensibili a tutti. Innanzitutto la dimensione del sensore, cioè lo spazio in cui entra l’immagine, che, in uno smartphone, è grande come un chicco di riso, quindi la luce che entra va a impressionare una superficie di circa 2 o 3 millimetri. Un obiettivo fotografico di una reflex, va da un minimo di 35 o 50 millimetri per arrivare fino a 80. Poi, se vogliamo parlare delle ottiche, beh lì proprio non c’è storia.  

Alcuni cellulari hanno fotocamere da 60-100 megapixel, ma quando poi si scaricano le foto sul computer e le si paragona a quelle delle macchinette (magari da 12 o 20 megapixel) si vede che hanno una definizione molto, ma molto superiore. Nei nostri gruppi, per esempio, non consentiamo di pubblicare foto da cellulari.

Lei da poco si sta dedicando, con grande successo, alla fotografia a infrarossi mettendo a disposizione anche una sua guida pratica ( QUI il link ). Ne vuole parlare?

Domenico Addotta fotografo dell'invisibile. Una sua foto a infrarosso
Una foto a infrarosso di Domenico Addotta

Purtroppo devo entrare un po’ nella terminologia tecnica. Noi uomini abbiamo uno spettro visibile limitato, i nostri occhi riescono a percepire una parte minima dei colori: si va da 400 a circa 700 nanometri. Sotto il minimo c’è l’ultravioletto (lo spettro prodotto dalle famose lampade per abbronzarsi) e sopra il massimo c’è l’infrarosso (da 700 a 1.100 nanometri).

Quella a infrarossi è una fotografia di nicchia, è tecnicamente difficile e per praticarla sono necessarie delle conoscenza approfondite. Inoltre non si può fare con la propria macchinetta senza opportune modifiche. Ma i risultati sono fantastici. Si vede l’invisibile!

Come si fa a vedere l’invisibile?

Possiamo fotografare ciò che l’occhio umano non riesce a vedere, e si apre un mondo meraviglioso con colori particolari, strani, mentre altri, quelli che vediamo normalmente, devono essere trattati in post produzione. Un’altra caratteristica unica è che con l’infrarosso si elimina la foschia, la nebbia. Questi fenomeni non vengono assolutamente ripresi.

E la tecnica a infrarossi è particolarmente adatta al bianco e nero.

E dà tante possibilità a chi voglia realizzare dei ritratti. L’infrarosso riesce a penetrare per quasi due millimetri sulla pelle. Quindi, per esempio, l’anziano con le rughe diventa un giovanotto o la ragazza con i brufoli risulterà con una pelle liscia e vellutata. Nella versione in bianco e nero, inoltre, è usatissima dai wedding photographers, dai fotografi di matrimoni che ottengono risultati più che eccellenti.

E poi ci sono i ghostbusters…

Sì alcuni fanno modificare le proprie macchinette perché con questa tecnica si dice che si riescano a riprendere i fantasmi. Devo dire che io ho scattato migliaia di foto, ma non ho mai trovato traccia di ectoplasmi che salutavano (ride). Per esperienza personale non ci credo, però ci sono quelli che sostengono che accade.

Leggi QUI la recensione al libro di Marco Cimorosi Fotografare New York City

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