Grisendi racconta la storia con Pansa. Intervista all’autrice del volume edito da Rizzoli La mia vita con Giampaolo Pansa (QUI il link).

Grisendi racconta la storia con Pansa. Nella foto da sinistra Adele Grisendi e Giampaolo Pansa
Adele Grisendi e Giampaolo Pansa

Adele Grisendi, autrice, sindacalista, moglie di Giampaolo Pansa, parla del volume da poco in libreria. QUI il link alla recensione.

Una storia d’amore intensa ed esclusiva tra due persone adulte, che si sono protette l’un l’altra. Eravate grandi quando vi siete incontrati e siete rimasti insieme, vicini, nonostante tutte le difficoltà.

Succede nella vita. In questo caso, probabilmente, la maturità ci ha aiutato. Ma c’era una cosa fondamentale che ci ha legato fin dall’inizio: eravamo due persone sole, dentro. Vivevamo in ambienti molto pieni di gente, avevamo attività che ci portavano a essere spesso in movimento, Giampaolo con i giornali e io con il sindacato, però quando chiudevamo la porta di casa le nostre serate erano solitarie.

Grisendi racconta la storia con Pansa. Nella foto la copertina del libro

Lui era uno che stava molto bene insieme agli altri, però era anche abituato a stare solo, il mestiere lo aveva formato in quel senso. Quando lui diceva: “Io vado dove i colleghi non vanno”, e ci andava da solo. E poi era solitario come giornalista politico, uno dei suoi comandamenti: la forza è quella di non frequentare i politici, i potenti, gli industriali… Eravamo due persone sole. Io non avevo nessuno a Roma, ero una donna divorziata con i genitori lontani e lui andava a casa a Milano nel fine settimana ma nella capitale non aveva legami.

Grisendi racconta la storia con Pansa

Quella è stata la nostra forza, trovare una persona che vive col tuo stesso ritmo e ci ha aiutato anche la maturità che ti porta a lasciar perdere il superfluo. E’ venuto naturale aiutarsi, comprendersi…

Pansa diceva: la Resistenza è la mia patria morale. Mi pare già una spiegazione a tutto ciò che lui ha scritto, al revisionismo di cui si vantava. Ma c’erano, e ci sono ancora, i gendarmi rossi, come li chiamava lui.

Lui ha fatto la prima tesi universitaria in Italia sulla Resistenza, una tesi di 800 pagine. E poi c’è un aspetto fondamentale da considerare: tu puoi leggere i libri, i documenti, ascoltare i protagonisti, e – giustamente – studiare la storia. Però hai vissuto quel periodo, in quell’età fondamentale tra i 6 e i 9 anni nella quale tutto comprendi, e molto più in fretta di quanto non succeda adesso, beh, è completamente diverso.

Se sei a casa che stai pranzando e arrivano gli aerei a bombardare, se vedi la banda Tom trascinata verso il poligono per essere uccisa e poi vedi i fascisti nelle gabbie, quelle sono immagini che non vanno più via.

Grisendi racconta la storia con Pansa

Nella mente di Giampaolo non si sono mai spente, e sono state il motivo per cui lui non ha mai spesso di leggere, cercare, documentarsi, incontrare persone che avessero vissuto gli anni della guerra e i due o tre successivi.

Io ho donato tutta la sua biblioteca alla Fondazione Spirito De Felice di Roma: 52 cartoni di libri, tra i quali una decina erano documenti, memorie, racconti privati che lui ha ricevuto, cercato. Giampaolo è cresciuto nel mito della Resistenza e ne ha scritto tantissimo.

Poi, come nella sua professione, lui ha sempre cercato di capire i fatti che doveva descrivere, con l’ossessione della verità. Queste esigenze lo hanno portato a scrivere anche sugli avvenimenti che nessuno vuole che si conoscano, anche adesso. Quando c’è ancora qualcuno che scrive: “Con Pansa finalmente morto adesso possiamo ragionare seriamente sulla storia d’Italia”, vuol dire che c’è sempre una parte che è ideologicamente quasi fanatica. La Resistenza era la sua patria morale, ma se ti ritieni meglio degli altri – come diceva sempre lui riferendosi agli ex partigiani – se hai le mutande sporche non puoi mica dire che sono candide.

Pansa è stato crocifisso dalla sua parte politica, la sinistra, per aver cercato di fare chiarezza sui brutti episodi che ci furano durante la Resistenza, ma ha conquistato centinaia di migliaia di lettori che non obbediscono ai gendarmi rossi

Ci fu chi reagì con il silenzio, per esempio dopo “Il sangue dei vinti” il suo giornale, la Repubblica, ha come tirato giù la serranda. Ci fu chi continuò a fare le recensioni; ma quelli che facevano parte del suo mondo, la sinistra, sono spariti tutti.

Però abbiamo conosciuto migliaia di amici, abbiamo ricevuto 20 mila lettere, sono un risultato pazzesco, scritte soprattutto da donne, a mano, con una grafia a volte un po’ stentata, un italiano non perfetto, ma tutte raccontavano storie che non si conoscevano. Sono venute a galla tante storie che erano rimaste nell’oblìo completo perché, ovviamente, quando a parlare sono solo i vincitori, gli altri stanno zitti.

E non è che i figli, i fratelli, gli zii, le sorelle, i mariti, le mogli di quelli che hanno fatto una brutta fine nel periodo terribile tra il 1943 al 1946 sono tutti di destra. Quindi, mi domando, perché questo odio che continua a girare per i “sotterranei” di questo Paese?

Grisendi racconta la storia con Pansa

Perché quando uno si azzarda a dire: Guardate che la verità è un po’ più complessa di come la raccontate, perché deve essere fatto segno di insulti, di odio? Eppure è ciò che è successo.

Però, le assicuro, che Giampaolo era sereno perché era convinto di quello che faceva.

Qualcosa di peggio gli accadde quando cominciò a scrivere dell’ex Jugoslavia

Sì, è vero. Io gli ho sempre detto che più dei libri revisionisti sulla guerra civile ha dato molto fastidio, soprattutto ai suoi ex amici di Repubblica, quella di Scano (si riferisce al libro Prigionieri del silenzio – Una storia che la sinistra ha sepolto, nda QUI il link al libro), perché è la dimostrazione delle violenze orribili che vennero compiute nel campo di Goli Otok.

Ma il libro che fece veramente imbestialire la sinistra fu La grande bugia (QUI il link al libro) perché Giampaolo a un certo punto si è stancato degli insulti, delle scorrettezze, delle volgarità, delle falsità che gli venivano attribuite e ha aperto il capitolo della sinistra, o meglio del Partito comunista.

E anche lei ha avuto qualche problema con la Cgil, organizzazione nella quale ha lavorato per decenni.

Io ho avuto tanto dalla Cgil, e anche grazie alle mie capacità ho potuto fare una carriera abbastanza veloce. Ma quando ho pensato di completare, come si diceva allora, la mia formazione, e ho chiesto di fare un’esperienza importante ai Metalmeccanici, ho creato dei problemi ai piani del segretario della Camera del lavoro e da lì è cominciata una vera forma di persecuzione.

A quel punto dovevo andarmene da Reggio Emilia e c’era l’accordo per farmi trasferire a Roma. Ma il segretario provinciale si oppose e saltò tutto e tornai a lavorare in ospedale, che avevo lasciato già da tempo. Riuscii a ritornare nel sindacato ma dovetti andare prima in Veneto e poi, finalmente, al nazionale, a Roma.

Chiudiamo con una nota un po’ di colore, visto che lei è una grande tifosa juventina su cui ha scritto anche un libro (Il mio cuore bianconero QUI il link)

Guardi, purtroppo non riesco più a vedere la Juventus. Perché? Perché non riesco più a sopportare il posto vuoto sul divano. Ogni tanto guardo il cellulare per vedere a che punto si trovano ma non ce la faccio più ad assistere alle partite.

Per quanto riguarda la squadra io non credo a quello che dicono un po’ tutti, che Ronaldo è stato un errore. Lui non è stato preso per vincere la Champions, ma per far conoscere ancora di più nel mondo il nome della squadra. E in questo ha dato un aiuto fondamentale.

Poi, da oltre un anno siamo alle prese con questo disastro del Covid che ha causato gravi danni anche economici, ma la società è ancora fortissima.

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