“Sembra di essere in 1984, ma sul Bosforo”, è il laconico messaggio che Marta Federica Ottaviani manda, poche ore dopo il tentato golpe in Turchia, a Paolo Wulzer, direttore della collana Oltrefrontiera della casa editrice Textus.

Erdogan, il Reis visto da vicino

Erdogan Il Reis il libro di Marta Federica Ottaviani

Il libro, “Il Reis – Come Erdogan ha cambiato la Turchia” (Textus, 364 pagine, 17,50 euro) è pronto quando, a metà luglio, arriva la notizia del colpo di Stato. L’autrice, considerata tra i maggiori esperti del grande Paese cerniera tra Europa e Asia, vola a Instanbul dove ha vissuto otto anni. Ottaviani collabora principalmente con i quotidiani “L’Avvenire” e “La Stampa” ma subito dopo il tentato push corre sul posto anche e soprattutto per completare il libro. Nell’intervista che segue parla della sua pubblicazione.

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Innanzitutto, quello del 15 luglio in Turchia è stato un golpe vero, auto organizzato, finto?

No, è importante dirlo subito: il golpe c’è stato. Ovviamente si possono dare diverse letture. L’organizzazione, pare, sia stata di una parte minoritaria dell’esercito, quantitativamente poco significativa che però ha tentato una sommossa nella speranza – questa è una mia supposizione basata su varie fonti  – che al momento dell’attuazione ricevesse un appoggio da altre parti dell’esercito e di chi, fino al 15 luglio, vedeva Erdogan come il più grande problema alla tenuta democratica del Paese. Non è andata così, per due motivi: perché se è vero che una parte dell’esercito era infiltrata da Gülen (predicatore e filosofo, tra i maggiori sostenitori finanziari del presidente, poi in contrasto fino a diventarne il suo più acerrimo nemico, in auto esilio negli Stati Uniti dal 1998) non era né maggioritaria, né propensa a metterci la faccia. Quelli che sono andati in piazza con i carri armati erano in parte dei gulenisti ma anche gente disposta a fare il colpo d’ala sapendo che sarebbero stati epurati a breve. Han fatto questo ragionamento: tentiamo di eliminare Erdogan prima che lui faccia lo stesso con noi. Non solo non hanno avuto il consenso popolare che speravano ma, al contrario, si sono ritrovati una intera nazione in piazza per difendere il proprio legittimo, sottolineo legittimo, diritto democratico. Questo mi ha fatto anche considerare come, dopo 15 anni di governo Erdogan, una parte dell’esercito non abbia ancora il polso del Paese.

Erdogan Il Reis

Perché dice questo?

La società turca è stanca di colpi di Stato, interventi della magistratura, strategia della tensione. In quest’ottica si spiega anche il successo elettorale di Erdogan, prima come presidente del consiglio e poi come presidente della repubblica. Il 15 luglio la Turchia si è ritrovata in un passato – fatto di violenze, di militari, di democrazia monca – di cui si stava dimenticando. Da oltre due mesi, viceversa, si assiste a un controgolpe, a un’epurazione che ha pochi precedenti nella storia del Paese che – per le sue proporzioni – fa nascere il dubbio che le vittime di questa caccia alle streghe non siano solo elementi pericolosi vicini a Gülen (che la Turchia ha tutto il diritto di rendere inoffensivi nel momento in cui si accerti che attentino alla sicurezza interna) ma anche chi con Gülen non ha niente a che fare. Questo è tanto più preoccupante se si pensa che tra gli epurati ci sono insegnanti, docenti universitari e imam. Figure che incidono sulle coscienze delle nuove generazioni. Se poi si pensa che ci sono circa 70 mila persone tra licenziate e sollevate dalle loro funzioni, che verranno rimpiazzate, presumibilmente, da persone vicine al presidente della repubblica è da interrogarsi su come questo incida sul futuro della nazione.

Da italiani e occidentali siamo abituati a vedere il susseguirsi di colpi di Stato come un modo per “rimettere a posto la situazione”, questo non è successo stavolta anche e soprattutto per l’intervento delle persone. Erdogan è ormai un leader democratico riconosciuto anche dalle opposizioni?

Nel corso dei decenni, i militari di errori ne hanno fatti e di enormi. Con questi ripetuti interventi, diciamo così, di regolazione della vita civile hanno impedito il normale sviluppo di un arco parlamentare degno di questo nome. Il golpe del 1980, per esempio, fu diretto contro i gruppi comunisti, socialisti e filo curdi, pensi a quanta parte di elettori è stata colpita. Noi italiani applichiamo alla Turchia tante semplificazioni: un Paese laico ma musulmano, dove i militari sono i garanti della laicità… Affermazioni vere ma fino a un certo punto. Furono i militari, nel 1980, a imprimere un “islamonazionalismo” che è uno dei caratteri principali della società: un turco si definisce tale perché è musulmano. A questo “islamonazionalismo” è stato impresso, a forza, un laicismo che ha avuto dei risultati deleteri. Non è casuale la questione del velo.

Cosa è accaduto?

Quando andai per la prima volta, le ragazze dovevano toglierselo per entrare all’università, ma era una forzatura. Appena Erdogan è arrivato al potere ha “rilassato” i costumi – perché c’è stato un periodo in cui la Turchia era veramente più serena, anche nella sua quotidianità, sicuramente di più rispetto a oggi. Le ragazze, non solo si sono precipitate in massa all’università con il velo ma poi hanno ricompensato il premier in sede di voto, perché era visto come quello che aveva esteso diritti elementari, come quello allo studio, a tutta la popolazione. Anche e soprattutto a quelle persone che, per lungo tempo, dall’establishment laico (numericamente minoritario da decenni) sono state considerate una sorta di Turchia irreale. Le classi borghesi e laiche – pur essendo una minoranza – pensavano di avere più diritto di guidare il Paese rispetto ad altri frammenti della società, come il ceto medio anatolico. Erdogan ha avuto l’intuizione di riportare queste larghe fasce della popolazione all’interno della politica e da protagonisti. L’opposizione è sostanzialmente silente, in questo momento, anche perché c’è il timore di beccarsi del gulenista appena si esce dai limiti consentiti, ma è da dire che in tutti gli ultimi 16 anni non c’è stato un solo momento in cui l’opposizione abbia rappresentato un reale pericolo per Erdogan.

Quindi il laicismo, in realtà era imposto.

C’è stato un periodo, fino al 2007, in cui anche gli elettori di Erdogan si reputavano laici, anche se – magari – le donne portavano il velo. Il problema è stato, casomai, permettere che alcuni simboli religiosi venissero caricati di un significato politico, che è ciò che Erdogan ha fatto con il velo islamico. Io ho parlato con decine di persone che, pur mantenendo uno stile di vita devoto, erano molto serene sulle loro scelte religiose, senza alcuna voglia di prevaricazione, insomma, laiche. Questo, all’inizio, non è stato capito dall’opposizione laica, repubblicana e quando l’ha compreso era troppo tardi per fermare il fenomeno Erdogan.

Questa sostanziale “devozione” del popolo è dovuta al miglioramento impetuoso che Erdogan è riuscito a imprimere all’economia?

Certo, vuol dire tanto. Lui è stato bravissimo in questo, ma partiva da uno standard incredibilmente basso. Fino a Erdogan la Turchia ha collezionato una lunga serie di insuccessi economici. Lui ha realizzato un mix di apertura verso l’esterno, afflusso di capitali esteri e riforme che hanno fatto del Paese un fenomeno economico finanziario per lunghi anni, anche se adesso la situazione è in una fase di stallo.

Erdogan Turchia il golpe del 2016

Lei nel suo libro sottolinea il passaggio da leader a tiranno, può spiegarlo meglio?

Fino al 2007 il premier aveva potuto contare su un bilanciamento dei poteri. Perché i militari erano ancora in auge, alla presidenza della Repubblica c’era un ultralaico, nelle istituzioni c’era una schiera di burocrati ancora molto legati alla tradizione laica. Con il passare del tempo Erdogan ha sostituito i burocrati che andavano in pensione con i suoi, c’è voluto del tempo. Ma nel 2011, quando ha vinto di nuovo le elezioni, era certo di poter fare quello che voleva visto che poi era passato il referendum del settembre 2010 con il quale toglieva potere ai militari e alla magistratura. Un Paese sulla carta più democratico, perché non è ammissibile che una nazione candidata a entrare nell’Unione europea abbia una magistratura e un esercito così potenti, ma dove il potere si stava sempre più concentrando nella mani di una sola persona.

Come europei e italiani viviamo con un certo timore l’eventuale arrivo della Turchia in Europa, anche perché si tratta di 80 milioni di abitanti, quanto la Germania. Cosa potrebbe accadere di qui a breve?

Noi pensiamo a quello che è successo il 15 luglio con il golpe turco ma da europei dovrebbe farci molta più paura quello che è accaduto il 23 giugno con la Brexit, che ha rimesso completamente in discussione il meccanismo europeo. Purtroppo, l’Europa sta andando incontro a sfide che potrebbero rivelarsi più grandi di lei. In questo momento un dossier già di per sé complicato come quello della Turchia sarebbe più che opportuno lasciarlo da parte. Dobbiamo cominciare a vedere se riusciamo a sopravvivere noi, prima di fare altri allargamenti, per di più così problematici. Anche perché in questo momento la Turchia non ha i requisiti di fondo per entrare in Ue, a cominciare dai diritti umani.

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