Un’impresa… il russo è una lingua difficilissima e quasi impossibile. Ho passato giorni a ripetere il testo e mi sembrava sempre di non riuscire a memorizzarlo. Poi, all’improvviso con la meravigliosa musica di Čajkovskij tutto è diventato più semplice. Modesta, nonostante 22 anni di successi in tutto il mondo, Carmela Remigio imputa alla meravigliosa musica del maestro russo il suo ennesimo successo, in un ruolo complicato anche dalle difficoltà della lingua.

Ecco alcuni commenti alla sua esibizione al teatro San Carlo di Napoli dove ha interpretato, fino a giovedì 6 marzo, Tatiana nell’Eugene Onegin: «Splendida la prova di Carmela Remigio nel ruolo di Tatiana» (Dino Villatico – la Repubblica) «Nell’ottimo cast vocale spicca la Remigio» (Stefano Valanzuolo – Il Mattino di Napoli).

Carmela Remigio

Il soprano pescarese, 40 anni di cui 22 nel canto lirico, risponde alle domande del nostro giornale il giorno dopo il trionfo nell’opera diretta da John Axelrod, per la regia di Michal Znaniecki (che ha firmato anche i costumi), scene di Luigi Scoglio. Questa intervista è stata pubblicata sul quotidiano La Città.

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Mozart è un punto di riferimento nella sua notevole attività musicale, ma il suo primo “Don Giovanni” lo interpretò sotto la guida di Claudio Abbado, il direttore da poco scomparso. Che maestro è stato per lei, e per la musica mondiale?

«Abbado, o Claudio così come si faceva chiamare da tutti i suoi collaboratori e musicisti, era una figura di riferimento per me e per il mondo musicale degli ultimi 60 anni. Le sue interpretazioni erano insieme poetiche e moderne, si aveva sempre l’impressione di ascoltare quello che stava dirigendo come fosse il primo ascolto del pezzo».

La lirica sta soffrendo molto del periodo di forte crisi economica in tutto il mondo. Può essere questa situazione contingente una occasione di rilancio e allo stesso tempo di abbandono definitivo di costi non inerenti alla musica?

«E’ un discorso molto complesso. Credo che l’unica soluzione sarebbe affidare i teatri in mano a grandi esperti di economia dell’arte,  affiancare loro silenziosamente alle figure direttive dei teatri. I teatri sono aziende di 500/700 persone che producono qualcosa di unico e mai ripetibile. Confezionano arte. Certamente, però,  il momento storico che stiamo vivendo è drammatico».

La musica lirica ha superato il terzo secolo di vita, resistendo, eroicamente, a mode, generi, momenti di fortuna e di sfortuna. Cosa pensa accadrà nei prossimi venti anni?

«Non si può distruggere la storia. L’opera lirica è una parte della storia italiana nel mondo. Ci sarà sempre».

La sua attività è sempre molto intensa. Che tipo di pubblico incontra oggi? E’ cambiato con il cambiare delle condizioni economiche in Europa e in Italia in particolare? E oltre Europa? Com’è la situazione?

«Il pubblico dell’opera è sempre lo stesso. I biglietti sono costosi e chiaramente molti giovani non riescono a permettersi un ingresso. Ma ora molti teatri nel mondo aprono le porte agli under 30 con biglietti offerti al prezzo simile a quello del cinema. La cosa meravigliosa è vedere sempre le sale piene, ovunque».

Lei è una affermata cantante, giovane e stimatissima. Ma ha già una carriera solida alle spalle. Quali traguardi si propone ancora? Tra l’altro lei è esplosa con Mozart (e in particolare con la trilogia italiana), ma c’è un autore che vorrebbe approfondire, anche con la diversa maturità della sua voce?

«Quest’anno sono 22 anni di carriera, più della metà della mia vita. Sono sempre entusiasta del mio lavoro, che è una vocazione e una passione. Sono sempre attenta a nuovi personaggi. Ho appena esordito, al San Carlo di Napoli, nella Tatjana dell’Eugene Onegin di Čajkovskij, pieno romanticismo russo. Le recensioni sono state stupende e io sono felice dopo molto studio (soprattutto della lingua). Tra qualche giorno inizio a Roma il “Maometto” di Rossini, poi sarò impegnata a Venezia con il “Rake’s progress” di Stravinskij. Dunque,  molto Mozart, sempre, ma non solo. Sto solo seguendo quello che la voce mi suggerisce, restare sempre in un unico repertorio non permette una giusta evoluzione e crescita artistica».

Si parla spesso dei cantanti lirici come dei divi capricciosi e oziosi, invece la vita del cantante lirico è più vicina a quella dell’atleta. Vuole spiegare meglio questo aspetto poco conosciuto della sua arte?

«Dici bene, siamo atleti della voce. Ma oltre ai muscoli della voce noi usiamo la mente per memorizzare le lunghissime parti da cantare, l’istinto per creare un personaggio teatralmente credibile, per arrivare in palcoscenico a debuttare una parte ci sono mesi di studio, riflessione. E poi la vita di tutti i giorni, la cura dell’alimentazione e della salute, faccio yoga per mantenere un equilibrio. La mia è una vita spesso solitaria, con ansie e stress. Non si arriva a un risultato senza sacrificio, ma per noi c’è anche il sacrificio di stare lontani dagli affetti più cari che a volte non vedi per lunghi periodi».

Lei ha cantato in tutto il mondo, da New York a Mosca, da Tokyo a Parigi, da Roma e Milano al Medio Oriente. Quale è un suo sogno ancora irrealizzato?

«I sogni? Ne ho tanti ancora. Ma difficilmente li dico prima di realizzarli. Mi piace viverli in segreto».

L’intervista è iniziata con un gigante della musica con cui ha lavorato a lungo. Non si può non concluderla con un altro gigante che l’ha lanciato nel mondo della lirica. Un suo ricordo di Luciano Pavarotti e, soprattutto, quanto manca a lei e alla lirica mondiale.

«Luciano era il sole, la luce. Ecco cosa manca ora».

Lei è sempre in giro per il mondo, ma è affezionatissima alla sua Pescara e al suo Abruzzo, a Teramo in particolare. Cosa fa per prima cosa quando torna nella sua terra?

«A Teramo c’è l’altra parte della mia famiglia abruzzese, l’amore.  A  Pescara il resto. In Abruzzo, quindi, ci sono tutti i miei affetti più cari. Quando torno cerco solo il loro abbraccio».

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