Dan Fante, lo scrittore italoamericano figlio di John, è morto lunedì 23 novembre 2015, alle 7,30 a Los Angeles. Ma la notizia è stata ufficializzata dai familiari solo nel primo pomeriggio, quando in Italia erano quasi le 23. Dan Fante aveva 71 anni (era nato il 19 febbraio 1944 a Los Angeles, secondogenito di John). Abruzzese di origine e di adozione era ormai di casa nella nostra regione dove passava quasi ogni estate da oltre 15 anni.

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Dan Fante davanti alla chiesa parrocchiale di Torricella Peligna

Un fuorilegge della letteratura, lo definì così il New York Times. E lo era, Dan Fante, un fuorilegge. Adorabile sciagurato. A 71 anni, nove mesi e quattro giorni è morto. L’autore italoamericano, figlio di John, è scomparso lunedì mattina a Los Angeles. Era pieno di vita, Dan, Daniel, come il titolo di un celebre romanzo del padre John. Pieno di vita nonostante i suoi eccessi con l’alcol e con la droga. Non era facile essere il figlio di John Fante. Lo scrittore raccontava le storie della sua famiglia e del padre, Nick, un muratore abruzzese di Torricella Peligna che aveva lasciato l’Abruzzo nel 1901 per cercare fortuna in America. John si vendicava del padre nei suoi libri, lo dipingeva (come era) come un testardo, odioso, ubriacone muratore italiano. Ma lui non era molto diverso: John, per tanti versi era uguale al papà Nick.

Dan raccontava agli amici intimi: “Mio padre era molto duro, e quando era arrabbiato era meglio girare alla larga da lui”. Probabilmente sarà stato per questo che a 20 anni lasciò la comoda Los Angeles, la villa a forma di Y a Malibù, i vicini di casa importanti (tanto per fare un nome la famiglia Sheen, degli attori Martin e Charlie), per cercare la sua strada a New York. Dan nella capitale del mondo, nella Grande mela, fece un po’ di tutto, dal portiere di notte all’autista di limousine per le rockstar, dal venditore per telefono all’investigatore privato. Salvo poi tornare a Los Angeles quando capì che doveva seguire la strada del padre John, la scrittura.

Raccontò nel primo romanzo, Angeli a pezzi (Chump change), che nonostante i loro rapporti non proprio idilliaci c’era solo lui accanto al vecchio John nel momento finale. C’era Dan a tenergli la mano.

Ma Dan era un eccellente scrittore, almeno quanto il papà. Certo, scriveva con il linguaggio di oggi, raccontava l’America di oggi, quella che aveva conosciuto da vicino, degli alcolisti, dei personaggi sempre al margine della società. E forse, come è accaduto per il padre John, il mondo si accorgerà della sua arte solo dopo la sua scomparsa.

Fante jr era anche un poeta e un autore di teatro. Negli ultimi anni insegnava scrittura creativa all’università di Los Angeles, la Ucla.

Nel settembre 1999 Dan Fante venne invitato dal Festival delle Letterature di Mantova a presentare Angeli a pezzi. In quell’occasione, alla sua prima visita in Italia, volle a tutti costi vedere il paesino abruzzese da cui proveniva il nonno Nicola (Nick).

“E’ un posto bellissimo”, disse in quell’occasione Dan, ridendo convinto “e mi chiedo come potrebbe qualcuno andar via da qui. Il panorama è magnifico, le città sono piccole, la gente è molto simpatica. E’ il posto più bello del mondo. Mio nonno fu pazzo a lasciare questo paese. Era pazzo prima di andar via da Torricella ed era pazzo anche dopo che ha lasciato l’Italia”.

La Fanteria, il gruppo di appassionati fantiani del paese, capitanati da Pietro Ottobrini, lo accompagnò in un giro tra le strette vie di Torricella Peligna. Nella chiesa parrocchiale qualcuno gli chiese di fare una foto vicino alla statua di San Rocco (raffigurato ovviamente con un cane al fianco) e gli disse: “Ora capisci perché nei libri di tuo padre – e nella realtà – i cani si chiamavano tutti Rocco?”. Dan sembrava un bambino a cui mostrano i giocattoli dei nonni. Era estasiato da quei luoghi. Sembrava quasi assaporare gli odori della terra dei suoi avi.

Non è un caso che da quella fine estate 1999 volle continuare a venire quasi ogni estate in Abruzzo. E venne tante volte a Pescara, L’Aquila, Spoltore, Roseto e – sempre – a Torricella Peligna, ospite fisso del festival “Il dio di mio padre” che Giovanna Di Lello dedica da dieci anni al padre John.

All’Aquila visitò l’Accademia dell’Immagine, ospite di Gabriele Lucci, e andò per un commosso omaggio alla basilica di San Bernardino (all’epoca, nel 2006, ancora intatta). Nel 2007 decise di regalare, tramite la giornalista Valeria De Cecco, la macchina da scrivere usata dal padre John per The Brotherhood of Grape (La confraternita dell’uva) al MediaMuseum di Pescara diretto da Edoardo Tiboni. La macchina da scrivere è conservata nelle sale del museo, in piazza Alessandrini, insieme alla carta gialla su cui vennero impresse le pagine del romanzo, la stessa carta che Dan utilizzò per il suo primo romanzo, Chump change (Angeli a pezzi).

Aveva creato un suo alter ego (come il padre con Bandini), l’aveva chiamato Bruno Dante. Ma Bruno era quasi nella totalità Dan.

Ha presentato in Abruzzo quasi tutti i suoi romanzi e l’ultima volta, nel 2013, portò nella terra che lui riteneva sua, anche l’ultimo lavoro in italiano, “Gin e genio”, una raccolta di poesie pubblicata dall’editore Whitefly press. Un nome emblematico, whitefly, mosca bianca.

Ecco, Dan era una mosca bianca della letteratura mondiale.

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